domenica 6 maggio 2012

Riflessi condizionati




L'Italia è in crisi. L'Italia è in recessione. L'Italia non ha un futuro. O meglio, gli italiani non vedono un futuro. Non in Italia, almeno. Ma perché? Fino a poco tempo fa non era ancora successo niente, c'era la vita, lo studio, gli amici, i programmi alla televisione, le discussioni, i problemi. Ora non c'è più niente. Non c'è una singola discussione su un singolo problema che valga la pena di affrontare. Non c'è un programma alla televisione o una materia d'esame che meritino di essere seguiti. Non c'è argomento con gli amici che sia importante. Abbiamo perso la fiducia nel passato. Sì nel passato, non nel futuro, che la fiducia nel futuro accompagna solo una piccola parte delle persone, indipendentemente dal paese nel quale vivano e dal loro livello di benessere. Però fino a poco tempo fa la fiducia nel passato, quella ce l'avevamo. Sentivamo di aver fatto tutta la strada insieme, anche se ognuno seguendo il proprio corso. C'erano dei discorsi, dei film, dei ricordi che ci accomunavano e che ci facevano sentire coccolati, avviluppati in un contesto comune, impalpabile ma rassicurante. Eravamo convinti, anzi inconsciamente sicuri, che stavamo agendo nel nostro bene e contemporaneamente per il bene in generale. Per gli studenti, per i lavoratori, per le donne, per gli immigrati. Era nient'altro che una scia, ma una scia che veniva da molto lontano, su cui eravamo nati e che ci aveva tranquillamente accompagnato, da sempre. C'era certo la lotta, lo scontro, chi pensava solo per preconcetti, solo a sé, solo per posizione presa. Però sempre all'interno di quel bozzolo comune, ci si detestava e comunque ci si scambiava qualcosa, se non altro il reciproco disprezzo. Ma comunque se si disprezzava qualcuno era proprio perché lo si reputava dannoso per la propria causa, un ostacolo all'avanzamento verso un obiettivo. Tutti, di destra o di sinistra, si sentivano di destra o si sentivano di sinistra. Agivano con la forza di chi agisce nell'unica dimensione che conta, nell'unico mondo conosciuto. Se le cose in quel mondo andavano male per chi lottava, si cercava di fare di più oppure si lasciava perdere. Con forza di volontà o rassegnazione, a seconda dei casi. La realtà era quella, quella che ci era stata tramandata dai nostri genitori che l'avevano vista migliorare sotto i loro occhi e per conseguenza diretta dei loro sforzi. Quindi a maggior ragione malleabile e orientabile per un verso o per l'altro. 
Poi si è rotto qualcosa. Non che i segnali della rottura non siano stati presenti durante tutto quel tempo. Anzi, tutta la storia precedente alla rottura potrebbe essere riletta in tutt'altra chiave alla luce della rottura stessa. Quel qualcosa che teneva unito il bozzolo si è rotto. Ed è stata una catastrofe. La vera realtà è uscita allo scoperto. Volendo riassumere in poche parole, ciò che ha scandalizzato a morte tutte le generazioni nate all'interno del bozzolo (praticamente tutte escluse quelle nate durante il fascismo) è una lampante scoperta: noi non siamo importanti. Io e le persone con cui ho sempre avuto a che fare, nel bene o nel male, affini o meno affini, non contiamo niente. La nostra realtà, in cui da sempre abbiamo vissuto, sperato, pianto di rabbia o di commozione, non era quella importante. Non era quella che contava, che faceva la differenza. Ce n'era un'altra, molto più ristretta, che accaparrava tutto, disponeva di tutto e scartava tutto se il tutto in questione non era interessante. Poi, dopo, i rimasugli formavano la nostra realtà. Una realtà più simile a una serie televisiva o un teatrino di pulcinella, in confronto all'altra. 
Ma a seguito di cosa è successo tutto ciò? Finché le cose continuavano a trascinarsi per lo stesso percorso di quando erano partite, anche se con mille rallentamenti, la rottura è rimasta latente. Finché la propria vita rimane conforme alla visione di vita concepita ed ereditata, si va avanti. Le cose sono tutte difficili ma si rimane nello stesso bozzolo di prima, le colpe delle difficoltà casomai si attribuiscono a se stessi o a quelli che ci circondano. Si pensa e si ripensa, cause ed effetti e le spiegazioni che li legano sono contorti, ci si concede di stravolgere tutto, ma sempre all'interno del bozzolo. Il bozzolo che ci dice: "tu sei artefice del tuo destino, le tue azioni hanno ripercussioni dirette su di te e gli altri". 
Quando però le cose cominciano davvero ad andare male, gli effetti non si incastrano più nelle sequenze di passaggi logici che partono dalle cause. Si vede che in fin dei conti tutto, comunque, è andato male. E' andato male anche se quella volta ho scelto di fare una cosa invece di un'altra, anche se milioni di persone come me hanno scelto quella cosa invece di quell'altra. E'andato male anche se abbiamo discusso, abbiamo manifestato, ci siamo disperati, poi rincuorati nella condivisione delle idee, degli ideali. Abbiamo riso e ci siamo sentiti uniti dalle parole geniali dei comici. Abbiamo vissuto secondo la nostra coscienza. Tutto questo semplicemente non contava, visto poi cosa è uscito fuori, allo scoperto. E cosa sta continuando ad uscire. Il bozzolo ormai è rotto. Adesso quasi ci vergogniamo di esserci vissuti per tanto tempo, da sempre. Lo rinneghiamo. Per questo abbiamo perduto la fiducia nel passato, in quanto non c'è più un passato nel quale ci riconosciamo. Non possiamo più ritenerlo causa dell'effetto che abbiamo sotto i nostri occhi, crudo e senza tante interpretazioni o giri di parole: ABBIAMO VISSUTO PER TUTTO QUESTO TEMPO IN UN PAESE MAFIOSO, DOVE MERITO O IDEE NON CONTANO SEMPLICEMENTE PERCHE' NON C'E' POSTO PER LORO DOPO LA SPARTIZIONE A MONTE DELLE RISORSE E DELLE POSSIBILITA'. ARRIVAVAMO SEMPLICEMENTE DOPO.  I NOSTRI RIFLESSI ERANO CONDIZIONATI DALLA REALTA' MAFIOSA NELLA QUALE VIVEVAMO, MA APPUNTO IN QUANTO RIFLESSI CONDIZIONATI LI DAVAMO PER BUONI, PER 'GENUINI' E CONTINUAVAMO LA NOSTRA VITA, I NOSTRI PERCORSI, LE NOSTRE ASPETTATIVE ATTRAVERSO DI ESSI, SENZA PENSARE CHE UNA REALTA' CHE ARRIVA A CONDIZIONARE I RIFLESSI, LA NOSTRA PIU' ELEMENTARE REAZIONE AL MONDO ESTERNO, E' UNA REALTA' CHE NON DA' SPAZIO E LIBERA ESPRESSIONE A NULLA, TANTOMENO A CIO' CHE C'E' DI PIU' COMPLESSO E CONTINUO COME LA COSCIENTE RICERCA DI SE STESSI, DELLE PROPRIE SCELTE, DELLA PROPRIA VITA.

2 commenti:

  1. Michele, mi ha fatto impressione due anni fa una dichiarazione di un finanziere galattico di cui non ricordo il nome : La lotta di classe esiste e noi la stiamo vincendo....... Io credo che quello che sta avvenendo , anche come mutamenti di coscienza sia la globalizzazione anche della lotta . Che provoca inevitabilmente una ottica diversa. Ma quello che succedeva prima non è tutto sprecato. Scrivo dal telefonino e non ce la faccio più . Poi ne parliamo .ciao

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  2. Sono parole belle, tristi, vere e sconfortate. Che spero servano da sfogo e da slancio.

    Sì, l’Italia è un popolo di “poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori e trasmigratori”, di sole, cibo e famiglia, ma anche di divisioni, di clientelismo, di chiusura mentale, di bassi orizzonti, di poco amor proprio, di stanchezza e vecchiume. Dal passato da cui veniamo l’incontro con il veloce evolversi del mondo ha fatto emergere ed evidenziare tutte queste cose. Ma delle prime non ci si vive (più) e le seconde diventano sempre più determinanti. Le proprie visioni e speranze rimangono legate alle prime, la realtà alle seconde.
    Dunque, che fare? Godere le prime e subire le azioni delle seconde provando a non rimanerne sconfitto. Coltivare le prime e farle sopravvivere alle seconde. Sfruttare le possibilità, che, paradossalmente, si aprono davanti. Arrangiarsi, in qualche modo, cosa che nel bene e nel male, ha da sempre caratterizzato la nostra gente. E, soprattutto, far resistere il nostro piccolo mondo, continuare a pensare che la propria persona, la famiglia e gli amici sono cose che ci appartengono e che riescono ancora ad avere forza e ad essere importanti. E portare avanti le proprie convinzioni, passioni, ambizioni e attivismi, in maniera sì più disillusa, ma non meno convinta; ricominciare da capo, riconoscendosi e confortandosi dal sentimento che, comunque, si rileverà essere comune.

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