domenica 20 marzo 2011

Incomunicabilità di massa




Roma, periferia, quartiere Tor Bella Monaca, sabato. Grande supermercato popolare, ora di pranzo. Folla che rotea tra i pomodori e l'insalata, i filetti di manzo e il prosciutto in offerta. Spese settimanali, carrelli stracolmi di poche cose, ma in grande quantità. Polacchi con montagne di carne, filippini con mari di vegetali, italiani con tutto di tutto. Uniti da un unico obiettivo: riuscire a farcela con i soldi che hanno. Ragazzini mangiano gli assaggi offerti, donne calcolano e sguinzagliano gli uomini verso salumeria e formaggi. Gli addetti ai reparti eseguono, consigliano, rassicurano. Tutte le etnie e culture si trovano d'accordo quando si tratta si scegliere la cosa migliore a minor prezzo, o davanti ad un cornetto caldo appena uscito dal forno del reparto del pane. Il cibo in questo paese scalda, e non solo perché è più buono. Scalda per tutta l'attenzione e l'importanza che ha su di sé, per la schiettezza della ragazza del pane o la religiosità del signore dei salumi. Alle casse c'è il momento finale di tensione, quando si vede quanto effettivamente si è scelto bene e quanto si è irrimediabilmente scesi ancora più nel baratro. Donne e uomini tirano fuori ogni risorsa che possiedono, portafogli, borsellini, buoni pasto, carte magnetiche e documenti di ogni tipo, pur di attutire il colpo. Poi, una volta pagato, imbustano tutto, e la loro vita ritorna anonima, dopo che un attimo prima le loro cose più intime erano inermi e in bella vista, sparpagliate sul nastro meccanico in attesa del loro turno alla cassa. Questa volta però qualcosa non torna. Un particolare stona con il quadro generale, stride con il silenzio uniforme fatto di voci familiari e rumori meccanici. L'addetta alla cassa piange. Ma non di un qualcosa di passeggero, un attacco di allergia, un riflesso condizionato, un momento di commozione. Semplicemente piange. Un pianto continuo, che accompagna tutti i suoi gesti e parole. Mentre fa passare sul lettore la merce, mentre comunica il totale da pagare, mentre cerca il resto da dare e lo appoggia sul piano della cassa. E donne e uomini raccolgono a valle il cibo nelle buste e pagano come se niente fosse. Facendo finta di niente, non avendo spazio anche per quella piccola tragedia locale o giudicando di non dover intromettersi. Tra quelle donne e quegli uomini ci sono anche io, che mi ritrovo con la busta piena in una mano e con il resto nell'altra, senza aver saputo cosa fare, a parte riuscire a guardarla negli occhi un attimo per farle sentire che ero lì in quel momento, davanti a lei, investito dal suo dolore, cercando di farle arrivare qualcosa in cambio con lo sguardo come lei mi stava dando qualcosa in cambio stringendo i soldi del resto. Ma comunque esco come tutti gli altri dirigendomi verso la macchina, mentre la ragazza alla cassa continua il suo lavoro, aspettando con tutta se stessa che arrivi il cambio a salvarla e a ridarle la dignità di una persona che piange.