lunedì 20 luglio 2020

Il nostro mondo online ostacola il cambiamento nelle nostre vite (*)

La tecnologia ci dà mezzi più potenti per fare quello che facevamo prima o nuovi mezzi per fare cose che prima neanche avevamo mai immaginato di poter fare. Ma lì si ferma. Poi sta a ognuno di noi scegliere come sfruttare quei mezzi e lavorare su se stesso per evolversi in modo da sfruttarli alle loro massime potenzialità. La tecnologia non è una bacchetta magica che ci trasforma, da sola non basta. Possiamo usare un drone per spiare la gente, se è quello che volevamo fare anche prima. O possiamo usarlo per riprendere il paesaggio che ci circonda. Dipende da cosa faremmo noi in prima persona se potessimo volare. Oppure possiamo usare un drone per qualcosa a cui non abbiamo mai pensato prima, un’idea pescata tra le infinite nuove possibilità date dall’esistenza dei droni, in maniera creativa: creare qualcosa che prima non c’era, neanche nei nostri pensieri. Man mano che la tecnologia allarga gli orizzonti delle nostre potenzialità, possiamo anche noi tentare di evolverci di pari passo con il pensiero, in modo da rendere la nostra vita migliore, più piena e varia, grazie alla tecnologia. 
Purtroppo non sono molte le persone che si buttano in questa sfida, mettendosi in discussione, abbattendo blocchi e tabù interni, abbandonando pigrizia e timidezza. La maggiorparte di noi usa la tecnologia esclusivamente per potenziare, velocizzare, semplificare quello che faceva o pensava già da prima. Non è poco, ma è sicuramente riduttivo e lascia le persone immutate, anzi le fossilizza nelle loro pulsioni, passioni e abitudini, visto che possono realizzarle meglio e di più con l’uso della tecnologia. 
Internet non fa differenza. E’ una delle tecnologie che più ha sconvolto la nostra vita, probabilmente quella che ha avuto maggiore impatto negli ultimi 50 anni. Eppure noi non siamo cambiati in maniera altrettanto sconvolgente. Anzi in molti casi ci siamo arroccati ancora di più nelle nostre posizioni predefinite. Se analizziamo le potenzialità offerte dalla rete, abbiamo tra le altre: ricerca di informazioni su qualsiasi argomento inseribili da qualsiasi persona al mondo, comunicazione con qualsiasi persona al mondo, pubblicazione di contenuti fruibili da qualsiasi persona al mondo. Si tratta di qualcosa di enorme, e nonostante gli anni che passano c’è ancora molto da metabolizzare.

Al di sopra della rete nuda e cruda - computer, router e altri dispositivi digitali su cui protocolli e architetture software dedicate riescono a materializzare ciò che noi conosciamo come ‘internet’ - si sono con il tempo posizionati vari intermediari sempre più sofisticati al loro interno ma semplici ai nostri occhi. Questi programmi, siti, applicazioni rappresentano interfacce tra noi e la rete. Rendono la nostra esperienza su internet più comoda, efficace, coinvolgente, ma la influenzano e condizionano in maniera altrettanto pesante. Quali sono questi intermediari? Si va da quelli (relativamente) meno invasivi come i browser che ci permettono di visualizzare pagine web ai motori di ricerca, le applicazioni social e di condivisione di contenuti. Mentre la rete è neutra, cioè non ci dice come dobbiamo utilizzarla, gli intermediari ci portano in una direzione ben precisa e non in altre, perché sono stati progettati da qualcuno in quel modo, sono state compiute delle scelte, valutate le alternative, soppesati i pro e contro di ognuna di esse. Ogni intermediario è il risultato sempre in divenire di questo lavoro fatto dietro le quinte da chi lo fornisce e posiziona sulla rete. Quali risultati mostrare come più rilevanti in un motore di ricerca? Quali contatti mostrare per primi in un social? Quali video in una piattaforma di condivisione di contenuti? Dipende dalle scelte che ha fatto chi li ha progettati. A differenza degli intermediari, la rete non mostra questa arbitrarietà: ho infinite soluzioni che posso progettare per farla funzionare bene, ma alla fine due nodi della rete - ad esempio due computer distanti chilometri tra loro - sono connessi o non sono connessi, c’è spazio per poco altro. Possiamo vederla come i mattoncini dei lego, mentre gli intermediari sono le costruzioni ottenute da quei mattoncini. Lo spazio di manovra che ha chi progetta gli intermediari dà loro un enorme potere sulla nostra esperienza in rete, ciò che ne ricaviamo e come influirà sulle nostre vite. 

Cominciamo dal browser, che può rivelare più scelte progettuali di quanto possa sembrare. Ogni browser ha una piccola memoria locale, dove può salvare file provenienti dai siti che visualizza. Tra questi file ci sono i cookies, piccoli file di testo che identificano l’utente su un certo sito e che il browser rispedisce al mittente (il server che ospita il sito) ogni volta che l’utente ritorna su quelle pagine. In questo modo il sito riconosce l’utente e gli prepara un ambiente personalizzato e simile a quello che ha lasciato la volta precedente, come se non fosse mai andato via. Ma un certo sito può anche inviare cookies non suoi, di terze parti, che ha accettato di inviare per conto di altre società. In questo modo la società terza può sapere quando un utente visita il sito e magari anche altri siti con i quali si è accordata. Questa conoscenza le permette di inserire ad esempio dei banner pubblicitari ad hoc nei siti che li accettano, che agli utenti sembreranno corrispondere magicamente ai loro interessi recenti e li invoglieranno a cliccare. 

Già da questo piccolo esempio si può capire quanto questi intermediari tra noi e la rete possono condizionarci. E più si va verso applicazioni elaborate, più aumentano le scelte progettuali e quindi le influenze sul nostro comportamento e sui nostri pensieri. Il sito più visitato al mondo (in data luglio 2020) è google.com, il motore di ricerca che ci permette di trovare i siti e le informazioni che cerchiamo. Questo sito all’apparenza molto semplice contiene una logica molto complessa, che associa una certa richiesta dell’utente - in un certo momento ed in un certo luogo - ad una lista ordinata di risultati. Quella che potrebbe sembrare una relazione oggettiva tra la stringa immessa dall’utente nel campo di ricerca e i risultati sul web più rilevanti si porta appresso in realtà una grande componente di arbitrarietà e di scelte progettuali. L’obiettivo del motore di ricerca è funzionare bene, fornendo un servizio di qualità all’utente. Ma potrebbe essere anche quello di non sconvolgerlo con risultati che non si aspetta e che non sono in linea con le sue inclinazioni ed i suoi interessi, o addirittura quello di rafforzare le sue idee e credenze sul mondo, se stesso e gli altri. Basta cambiare la logica che calcola i risultati, o anche solo l’ordine dei risultati, per avere un effetto completamente diverso sull’utente. La stessa parola chiave immessa dall’utente può portare a siti che invogliano a fare una cosa o il suo opposto. Se un utente riceve sempre input che confermano le sue inclinazioni e tendenze pregresse, è più contento e soddisfatto, si chiede meno cose, si atrofizza su posizioni che sembreranno ‘oggettive’, perché mai messe in discussione. Vivrà in quella che si chiama anche filter bubble, una bolla in cui filtreranno solo informazioni non disturbanti, che in sostanza comunicheranno all’utente il messaggio rassicurante: ”Fai bene a pensare quello che pensi o a fare quello che fai, continua così”. 

Oltre che rassicurare l’utente, un intermediario tra l’utente e la rete può anche suggerirgli nuovi percorsi mentali da esplorare. Qui la gamma delle scelte progettuali è ancora più ampia. Youtube, il secondo sito più visitato al mondo, fornisce ai suoi utenti raccomandazioni di video che potrebbero essere interessanti, partendo da quelli che hanno già visto. Per prolungare il più possibile la nostra permanenza sul sito, i video proposti tenderanno sempre a presentarsi come ancora più scioccanti, dolci, violenti, intelligenti di quello che stiamo attualmente vedendo, in modo da cavalcare sempre più il nostro entusiasmo verso il tema trattato nel video, verso un apice mai raggiunto. Questa scelta progettuale ha come conseguenza quella di portare gli utenti a video sempre più estremi rispetto a quello da cui erano partiti, che suscitano emozioni più forti, che meravigliano, spaventano, deliziano di più, che diventano necessari per continuare a provare quelle sensazioni così forti. Cospirazioni, teorie improbabili, violenza sono alcuni degli ingredienti fondamentali per sostenere ed alimentare l’onda di emozioni forti che il sito vuole cavalcare negli utenti in modo da tenerli incollati allo schermo. E più questi video, che altrimenti sarebbero rimasti ai margini dell’offerta dei contenuti del sito, diventano virali, più vengono raccomandati a nuovi utenti, in un effetto a valanga che porta alla ribalta idee ed immagini che prima stentavano anche solo ad uscire dalla mente di chi le concepiva o le vedeva come spettatore diretto nella realtà.


Facebook, il terzo sito più visitato (ma anche gli altri social non fanno differenza), porta questo aspetto ad un livello ancora superiore. Non solo informazioni e video ricadono in questa logica, ma anche le persone con cui si è in contatto, i propri amici o follower. Il sito (o l’applicazione) ha scelto di rendere più facili gli scambi con persone con cui già in passato abbiamo scambiato frasi, like o visualizzazioni. In questo modo è più probabile che l’utente rimanga attivo sul sito quando vede spesso sulla sua home contenuti postati da utenti che conosce bene. Magari mettendo un like su una foto delle vacanze di un amico, un commento ad un video di un altro amico, e così via, la sua voglia di interagire si riaccende e quindi rimane più tempo online. A sua volta la sua nuova attività porterà a più tempo online e attività da parte degli amici con cui comunica più spesso, che la vedranno in primo piano sulle proprie home. L’effetto collaterale del mettere in primo piano chi si conosce già bene è quello di mettere in secondo piano chi non si conosce ancora bene. Con il passare del tempo i nostri contatti si divideranno sempre più nettamente in due gruppi: chi andrà sempre più in cima alle nostre visualizzazioni e chi sempre più in basso nel dimenticatoio, con una logica simile a quella che porta i ricchi ad essere sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri, o i lavoratori con esperienza ad avere sempre più esperienza e quelli senza esperienza a rimanerne senza. Così ci sarà sempre più facile continuare ed approfondire le nostre relazioni con chi già fa parte della nostra vita, mentre sarà sempre più difficile per un nuovo contatto trovare uno spazietto di attenzione nella nostra routine quotidiana per poter instaurare con noi una nuova relazione. E naturalmente qui l'effetto 'filter bubble' è ancora più evidente, dato che il sito porta alla nostra attenzione contenuti ed informazioni piaciuti o commentati da qualcuno dei nostri amici. Così io utente vivrò e crescerò nell'ambiente protetto fatto dalle opinioni ed i contenuti suggeriti dai miei migliori amici: cosa ci potrebbe essere di meglio?

Tutte queste dinamiche hanno in comune la stessa cosa: ci portano alla conservazione ed anche estremizzazione dell’esistente, consolidato, che non riserva sorprese, a scapito del nuovo, imprevisto, che può turbare. Non c’è nessuna logica perversa dietro, è semplicemente il modo più comodo che hanno questi siti di tracciarci e sfruttare la nostra attenzione ai loro scopi. Se so che un utente ha cercato auto da corsa in passato, allora penso che gli interessino e quindi cerco di proporgliele ancora il più possibile in modo da tenerlo ‘vivo’ sul mio sito e non farlo andare via. Questi siti possono solo (per ora) ragionare a posteriori, analizzando cosa ha fatto un certo utente in passato e cercare di prevedere cosa farà in futuro e come influenzarlo in modo da portarlo nella direzione che fa più comodo loro. Ma tutto ciò tralascia un aspetto che deve essere fondamentale nella nostra esperienza online, così come nella vita reale: entrare in contatto con il diverso, lo strano, l’atipico, sia che si tratti di idee che di persone. Imparare a confrontarsi con realtà molto lontane dalla propria e magari arrivare a capirle e ad amarle per quello che sono. Internet ci ha dato la potenzialità per fare tutto questo, ma anche l’illusione di farlo già. In realtà, per come sono stati progettati i principali intermediari che utilizziamo per usare la rete, sta succedendo il contrario: siamo sempre più spinti a ritirarci verso la parte più chiusa di noi stessi, verso idee e persone che la gratificano. E molto è dovuto a come sono stati progettati finora gli strumenti che abbiamo quando siamo online per osservare e conoscere la realtà. 

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