lunedì 20 luglio 2020
giovedì 2 giugno 2016
La profezia che si autoavvera
Mai azzardarsi a non vivere momento per momento. Basta mantenere un minimo di aspettative verso il futuro, magari abbozzate solo mediante qualche giorno di esperienza, ed è fatta. Da quel poco di fatti e sensazioni accumulati c'è sempre il rischio di dedurre qualche regola generale. Qualche conoscenza non diretta, appena giustificata da quello che abbiamo visto o sentito. Che poi ci condannerà per i giorni a venire. Il futuro non sarà più bianco, luminoso e neutrale, ma comincerà ad appannarsi, a pendere più da una parte, a scurirsi un po' delle deduzioni e regole che inconsciamente abbiamo tirato fuori da qualche dato ammucchiato qui e là. Come le formiche che passano da una parte invece che da un'altra si rafforzano nella convinzione di dover passare da quella parte, spingendo altre formiche a ripercorrere i loro passi attratte dall'odore lasciato e poi consolidato via via da tutte le altre. Quindi attenti a trasgredire sempre questa regola universale della natura. Ciò che per piante e animali è la precondizione per poter continuare a vivere - astrarre regole di comportamento, con l'intelligenza o date dall'istinto - per noi è fatale. La nostra mente penserà nella sua economicità e pigrizia assolute di aver già capito tutto e farà del tutto per rendere il futuro una sequenza di fatti e sensazioni già previste. I dati dall'esterno continueranno ad arrivare a casaccio, sparsi, ma la mente si coccolerà quelli che aderiscono alla sua regola e trascurerà gli altri, come tante piccole formiche che passeranno tutte verso lo stesso solco, attratte dai feromoni delle precedenti. Così i solchi nella mente si faranno sempre più assoluti e definitivi, i dati che riusciranno a passarci ci passeranno, tutti gli altri scivoleranno via, neanche riusciranno più ad essere visti o sentiti. Così la realtà esperita da quella mente si farà sempre più povera e scarna, uno stereotipo perfetto espressione di quella regola iniziale. Quando siete arrivati a questo punto non c'è più molto da fare, vi siete plasmati la realtà intorno. L'avete sbiadita, vi siete capati le cose che vi facevano comodo, avete assegnato a voi stessi e agli altri dei ruoli semplici che potessero essere interpretati facilmente senza sconvolgere la vostra realtà. Quello che voi stessi sentivate è stato messo in secondo piano, la volontà è stata il motore che ha mosso il sole e le altre stelle. Però ormai il sole non assomiglia più neanche lontanamente al solo iniziale, quello vero che scalda e abbaglia, l'aria è respirabile ma non ha più profumo, e la vita rischia di non avere più un senso. Non ha più senso proprio perché glien'è stato affidato uno, chiaro, lineare, dall'inizio, che nell'avverarsi ha spolpato tutto il resto.
lunedì 9 maggio 2016
Una sera qualunque
Il desiderio si stritola in bocca,
senza via d'uscita si ripiega su se stesso,
cerca altre vie ma non le trova
arriva alla testa:
lì dove tutto nasce e tutto muore.
Ma lì non può restare;
allora manda all'aria tutto,
che la testa si spenga e il corpo sparisca,
nessuna lotta è più possibile
senza il conforto di un contatto.
domenica 27 aprile 2014
Racconto di pioggia ed Elliott Smith
Come si fa ad andare a fondo dentro un sentimento? Nessuno lo spiega.
Bisogna addentrarsi in strati e strati di pensieri accumulati seguendo corto circuiti infiniti.
Cosa c'è sotto?
E soprattutto: ci sarà qualcosa?
Dopo tutta la fatica fatta per rimuovere l'inutile (e quindi dannoso), dopo tutto questo sforzo cosciente, rimarrà qualcosa?
Qualcosa di profondamente incosciente sopravviverà?
Questo sembra un viaggio dove l'obiettivo sta lì, immobile, mentre il viaggiatore cerca di andargli incontro, invano. Rimane ad osservarlo dalla sua posizione privilegiata, il suo maledetto punto di osservazione di sempre.
Poi, impercettibilmente, mentre l'obiettivo a fuoco continua ad essere sempre lì, lo sfondo dietro cambia. Così osservatore ed osservato si trovano a viaggiare insieme, come accoppiati, dentro sfondi di colore diverso, ognuno rappresentante un diverso stato d'animo dell'osservatore verso il sentimento misterioso osservato. Da colori forti si passa a tonalità sempre più dolci, pastello. Coscienza, determinazione, rabbia lasciano il posto a condivisione, accondiscendenza, rispetto per quell'oggetto misterioso. Le sue mura rimangono sempre alte e solide, ma invece di prenderle a testate il viaggiatore ora ci appoggia la schiena contro, esausto.
Sta realizzando sulla propria pelle che è inutile voler forzare con la volontà una parte di sé, come fosse un biglietto ripiegato mille volte, che con un po' di sforzo e pazienza si riesce finalmente ad aprire, leggere e buttare via. Sta cominciando a capire quanto quel sentimento sia parte di sé, e che non può neutralizzarlo senza rendere se stesso un po' meno reale. A questo punto, senza rendersene conto, il viaggiatore è a metà del suo viaggio.
Ma la parte difficile deve ancora arrivare. Dopo aver demolito le sue intenzioni di guerra verso quel sentimento, dovrà demolire se stesso. Tutto quello che si era detto nel corso del tempo per vedersi andare avanti. Per costruirsi un'idea accettabile di sé. Un'idea funzionale, fino al momento in cui si è presentato l'ostacolo insormontabile del sentimento, con il quale tutta l'impalcatura creata è diventata all'istante obsoleta. Un particolare si è imposto dal nulla come l'unico reale, facendo sentire tutto il resto come fuori posto.
La seconda parte del viaggio consiste nel ritrovare il 'tutto' più genuino e reale, nel quale il nuovo particolare entri senza sforzo. E' il sentimento misterioso a guidare la ricerca del se stesso più autentico, gridando 'fuoco' o 'acqua' durante il viaggio.
Ed ora il viaggiatore è in grado di ascoltarlo.
domenica 6 maggio 2012
Riflessi condizionati
L'Italia è in crisi. L'Italia è in recessione. L'Italia non ha un futuro. O meglio, gli italiani non vedono un futuro. Non in Italia, almeno. Ma perché? Fino a poco tempo fa non era ancora successo niente, c'era la vita, lo studio, gli amici, i programmi alla televisione, le discussioni, i problemi. Ora non c'è più niente. Non c'è una singola discussione su un singolo problema che valga la pena di affrontare. Non c'è un programma alla televisione o una materia d'esame che meritino di essere seguiti. Non c'è argomento con gli amici che sia importante. Abbiamo perso la fiducia nel passato. Sì nel passato, non nel futuro, che la fiducia nel futuro accompagna solo una piccola parte delle persone, indipendentemente dal paese nel quale vivano e dal loro livello di benessere. Però fino a poco tempo fa la fiducia nel passato, quella ce l'avevamo. Sentivamo di aver fatto tutta la strada insieme, anche se ognuno seguendo il proprio corso. C'erano dei discorsi, dei film, dei ricordi che ci accomunavano e che ci facevano sentire coccolati, avviluppati in un contesto comune, impalpabile ma rassicurante. Eravamo convinti, anzi inconsciamente sicuri, che stavamo agendo nel nostro bene e contemporaneamente per il bene in generale. Per gli studenti, per i lavoratori, per le donne, per gli immigrati. Era nient'altro che una scia, ma una scia che veniva da molto lontano, su cui eravamo nati e che ci aveva tranquillamente accompagnato, da sempre. C'era certo la lotta, lo scontro, chi pensava solo per preconcetti, solo a sé, solo per posizione presa. Però sempre all'interno di quel bozzolo comune, ci si detestava e comunque ci si scambiava qualcosa, se non altro il reciproco disprezzo. Ma comunque se si disprezzava qualcuno era proprio perché lo si reputava dannoso per la propria causa, un ostacolo all'avanzamento verso un obiettivo. Tutti, di destra o di sinistra, si sentivano di destra o si sentivano di sinistra. Agivano con la forza di chi agisce nell'unica dimensione che conta, nell'unico mondo conosciuto. Se le cose in quel mondo andavano male per chi lottava, si cercava di fare di più oppure si lasciava perdere. Con forza di volontà o rassegnazione, a seconda dei casi. La realtà era quella, quella che ci era stata tramandata dai nostri genitori che l'avevano vista migliorare sotto i loro occhi e per conseguenza diretta dei loro sforzi. Quindi a maggior ragione malleabile e orientabile per un verso o per l'altro.
Poi si è rotto qualcosa. Non che i segnali della rottura non siano stati presenti durante tutto quel tempo. Anzi, tutta la storia precedente alla rottura potrebbe essere riletta in tutt'altra chiave alla luce della rottura stessa. Quel qualcosa che teneva unito il bozzolo si è rotto. Ed è stata una catastrofe. La vera realtà è uscita allo scoperto. Volendo riassumere in poche parole, ciò che ha scandalizzato a morte tutte le generazioni nate all'interno del bozzolo (praticamente tutte escluse quelle nate durante il fascismo) è una lampante scoperta: noi non siamo importanti. Io e le persone con cui ho sempre avuto a che fare, nel bene o nel male, affini o meno affini, non contiamo niente. La nostra realtà, in cui da sempre abbiamo vissuto, sperato, pianto di rabbia o di commozione, non era quella importante. Non era quella che contava, che faceva la differenza. Ce n'era un'altra, molto più ristretta, che accaparrava tutto, disponeva di tutto e scartava tutto se il tutto in questione non era interessante. Poi, dopo, i rimasugli formavano la nostra realtà. Una realtà più simile a una serie televisiva o un teatrino di pulcinella, in confronto all'altra.
Ma a seguito di cosa è successo tutto ciò? Finché le cose continuavano a trascinarsi per lo stesso percorso di quando erano partite, anche se con mille rallentamenti, la rottura è rimasta latente. Finché la propria vita rimane conforme alla visione di vita concepita ed ereditata, si va avanti. Le cose sono tutte difficili ma si rimane nello stesso bozzolo di prima, le colpe delle difficoltà casomai si attribuiscono a se stessi o a quelli che ci circondano. Si pensa e si ripensa, cause ed effetti e le spiegazioni che li legano sono contorti, ci si concede di stravolgere tutto, ma sempre all'interno del bozzolo. Il bozzolo che ci dice: "tu sei artefice del tuo destino, le tue azioni hanno ripercussioni dirette su di te e gli altri".
Quando però le cose cominciano davvero ad andare male, gli effetti non si incastrano più nelle sequenze di passaggi logici che partono dalle cause. Si vede che in fin dei conti tutto, comunque, è andato male. E' andato male anche se quella volta ho scelto di fare una cosa invece di un'altra, anche se milioni di persone come me hanno scelto quella cosa invece di quell'altra. E'andato male anche se abbiamo discusso, abbiamo manifestato, ci siamo disperati, poi rincuorati nella condivisione delle idee, degli ideali. Abbiamo riso e ci siamo sentiti uniti dalle parole geniali dei comici. Abbiamo vissuto secondo la nostra coscienza. Tutto questo semplicemente non contava, visto poi cosa è uscito fuori, allo scoperto. E cosa sta continuando ad uscire. Il bozzolo ormai è rotto. Adesso quasi ci vergogniamo di esserci vissuti per tanto tempo, da sempre. Lo rinneghiamo. Per questo abbiamo perduto la fiducia nel passato, in quanto non c'è più un passato nel quale ci riconosciamo. Non possiamo più ritenerlo causa dell'effetto che abbiamo sotto i nostri occhi, crudo e senza tante interpretazioni o giri di parole: ABBIAMO VISSUTO PER TUTTO QUESTO TEMPO IN UN PAESE MAFIOSO, DOVE MERITO O IDEE NON CONTANO SEMPLICEMENTE PERCHE' NON C'E' POSTO PER LORO DOPO LA SPARTIZIONE A MONTE DELLE RISORSE E DELLE POSSIBILITA'. ARRIVAVAMO SEMPLICEMENTE DOPO. I NOSTRI RIFLESSI ERANO CONDIZIONATI DALLA REALTA' MAFIOSA NELLA QUALE VIVEVAMO, MA APPUNTO IN QUANTO RIFLESSI CONDIZIONATI LI DAVAMO PER BUONI, PER 'GENUINI' E CONTINUAVAMO LA NOSTRA VITA, I NOSTRI PERCORSI, LE NOSTRE ASPETTATIVE ATTRAVERSO DI ESSI, SENZA PENSARE CHE UNA REALTA' CHE ARRIVA A CONDIZIONARE I RIFLESSI, LA NOSTRA PIU' ELEMENTARE REAZIONE AL MONDO ESTERNO, E' UNA REALTA' CHE NON DA' SPAZIO E LIBERA ESPRESSIONE A NULLA, TANTOMENO A CIO' CHE C'E' DI PIU' COMPLESSO E CONTINUO COME LA COSCIENTE RICERCA DI SE STESSI, DELLE PROPRIE SCELTE, DELLA PROPRIA VITA.
sabato 7 maggio 2011
Cosa ho capito dopo essere tornato a casa a ostia dal lussemburgo (e da tanti altri posti tipo quello)
M'ha fatto capire sempre di più quanto abbiamo rispetto a quelli del lussemburgo e quanto invece ci facciamo rovinare dai pochi a cui lasciamo carta bianca, così, senza motivo, per pigrizia, perché tanto anche se gli stabilimenti non ci fanno entrare si sta bene pure sul lungomare. Vabbè non si può andare qua davanti, andiamo verso i cancelli stando un'ora in macchina tra fila e cercare parcheggio. Tanto comunque quando poi stai al mare non ci pensi più. E pure la macchia mediterranea che se rovina co tutto il traffico, tanto c'è pure la pineta dietro.. e la casa, vabbè al centro non la puoi prende, ma si sta bene pure in periferia, e vabbè i mezzi non passano mai ma puoi prendere la macchina, ti fai il traffico e te la cavi.. e pure se al lavoro te danno 2 soldi rispetto a quanto ce guadagnano loro, tanto c'è tutto il resto.. ma alla fine de tutto sto resto non è che ci rimane un granché, a parte i sentimenti che ci salvano sempre. Però perché quelli che se ne approfittano non hanno bisogno di essere salvati dai sentimenti e noi comuni mortali sì? Io non voglio essere salvato dai sentimenti, voglio che i sentimenti siano una conseguenza naturale di tutto il resto che ho e che vivo, non voglio che siano una zattera di salvataggio nel nulla.
domenica 20 marzo 2011
Incomunicabilità di massa
Roma, periferia, quartiere Tor Bella Monaca, sabato. Grande supermercato popolare, ora di pranzo. Folla che rotea tra i pomodori e l'insalata, i filetti di manzo e il prosciutto in offerta. Spese settimanali, carrelli stracolmi di poche cose, ma in grande quantità. Polacchi con montagne di carne, filippini con mari di vegetali, italiani con tutto di tutto. Uniti da un unico obiettivo: riuscire a farcela con i soldi che hanno. Ragazzini mangiano gli assaggi offerti, donne calcolano e sguinzagliano gli uomini verso salumeria e formaggi. Gli addetti ai reparti eseguono, consigliano, rassicurano. Tutte le etnie e culture si trovano d'accordo quando si tratta si scegliere la cosa migliore a minor prezzo, o davanti ad un cornetto caldo appena uscito dal forno del reparto del pane. Il cibo in questo paese scalda, e non solo perché è più buono. Scalda per tutta l'attenzione e l'importanza che ha su di sé, per la schiettezza della ragazza del pane o la religiosità del signore dei salumi. Alle casse c'è il momento finale di tensione, quando si vede quanto effettivamente si è scelto bene e quanto si è irrimediabilmente scesi ancora più nel baratro. Donne e uomini tirano fuori ogni risorsa che possiedono, portafogli, borsellini, buoni pasto, carte magnetiche e documenti di ogni tipo, pur di attutire il colpo. Poi, una volta pagato, imbustano tutto, e la loro vita ritorna anonima, dopo che un attimo prima le loro cose più intime erano inermi e in bella vista, sparpagliate sul nastro meccanico in attesa del loro turno alla cassa. Questa volta però qualcosa non torna. Un particolare stona con il quadro generale, stride con il silenzio uniforme fatto di voci familiari e rumori meccanici. L'addetta alla cassa piange. Ma non di un qualcosa di passeggero, un attacco di allergia, un riflesso condizionato, un momento di commozione. Semplicemente piange. Un pianto continuo, che accompagna tutti i suoi gesti e parole. Mentre fa passare sul lettore la merce, mentre comunica il totale da pagare, mentre cerca il resto da dare e lo appoggia sul piano della cassa. E donne e uomini raccolgono a valle il cibo nelle buste e pagano come se niente fosse. Facendo finta di niente, non avendo spazio anche per quella piccola tragedia locale o giudicando di non dover intromettersi. Tra quelle donne e quegli uomini ci sono anche io, che mi ritrovo con la busta piena in una mano e con il resto nell'altra, senza aver saputo cosa fare, a parte riuscire a guardarla negli occhi un attimo per farle sentire che ero lì in quel momento, davanti a lei, investito dal suo dolore, cercando di farle arrivare qualcosa in cambio con lo sguardo come lei mi stava dando qualcosa in cambio stringendo i soldi del resto. Ma comunque esco come tutti gli altri dirigendomi verso la macchina, mentre la ragazza alla cassa continua il suo lavoro, aspettando con tutta se stessa che arrivi il cambio a salvarla e a ridarle la dignità di una persona che piange.
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